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Blindspot: come aprire gli occhi sui nostri bias

9 Dicembre 2020 - 7 minuti di lettura

Nel webinar a cura di Buttonwood Coaching Partners è stato affrontata la tematica dei bias: quali sono i bias cognitivi più comuni, il motivo per cui sono utili per l’evoluzione delle persone e soprattutto di come possono influenzare le scelte e le performance dei team e delle organizzazioni.

Nei prossimi paragrafi saranno mostrati esempi e soluzioni su come aggirarne alcuni di questi bias durante la quotidianità di un team Agile concentrandoci sul bias di ancoraggio, il bias dell’ottimismo, il bias di disponibilità e la sindrome di superiorità illusoria detto anche effetto Dunning-Kruger.

Buona lettura.

Mancanza di consapevolezza, autoinganno e bias

Pierpaolo Muzzolon ha trattato un tema delicato: il non saper riconoscere i propri punti ciechi.

Consapevolezza

Prendiamo ad esempio, quel momento in cui siamo intenti a cambiare la nostra auto, e quindi ci troviamo inevitabilmente a dover fare i conti con tutta una serie di novità quali il sistema di copertura dell’angolo cieco. Questo sistema segnala con una spia luminosa la presenza di veicoli nei cosiddetti “coni d’ombra”, ovvero nelle zone che l’occhio umano non può raggiungere con il solo utilizzo degli specchietti retrovisori. E’ infatti compito del cervello ricostruire l’immagine rispetto a quello che vede l’altro occhio.
Esiste un test relativo all’immagine dei simboli + e -: tenendo coperto l’occhio sinistro si chiede di avvicinarsi e poi allontanarsi dall’immagine, continuando a fissare il +. Il test dimostra che il simbolo – scompare e appare dal nostro raggio.

Questo accade per mancanza di consapevolezza. E i leader in azienda come si comportano?

Autoconsapevolezza

E’ tutta una questione di autoconsapevolezza, che è lo strumento necessario, ma impalpabile. Se ci pensiamo bene, ci giudichiamo in base all’intenzione che abbiamo e non all’impatto, e ciò blocca la nostra capacità di apprendere, una sorta di gabbia di autoinganno.
Il professor Chris Argyris [1] nel suo scritto “Superare le difese organizzative” [2] parla, tra le altre, di mentalità difensiva:

Mentalità difensiva: ogni volta che persone o organizzazioni sono libere di agire come decidono ma tuttavia scelgono di agire contro i propri interessi ci troviamo di fronte ad un ragionamento difensivo.

Esistono alcuni bias, come quello del self-serving (trattato più avanti), che proteggono sì il nostro ego ma hanno come effetto collaterale l’inibizione della capacità di ricevere feedback.

Autoinganno

La parola autoinganno [3] fa riferimento alle strategie adottate per mentire a se stessi. Si tratta di una delle peggiori trappole della mente. L’autoinganno si presenta nelle situazioni in cui convinciamo a noi stessi di una realtà che è falsa, ma lo facciamo inconsciamente. 
C’è quindi una differenza rispetto alla bugia: quando diciamo una bugia siamo consapevoli di non dire la verità, nell’autoinganno invece accettiamo come verità una realtà che è falsa senza esserne consapevoli.
Esistono quattro diverse forme:

  • Funzionale: si osserva nelle situazioni in cui la persona mente a se stessa, convincendosi che la decisione presa è quella giusta.
  • Valorizzare per credere: diamo valore alle cose per le quali abbiamo fatto un enorme sforzo per averle.
  • Consolatorio: ci si convince che la responsabilità sia di qualcun altro.
  • Mentire agli altri per convincere se stessi, ovvero ci si immedesima talmente tanto nella non verità che ci crediamo.

Tutto ciò ci allontana dalla possibilità di crescita. Nessuno si salva dall’autoinganno, e sbarazzarsene richiede un enorme lavoro di riflessione personale.

Ragionamento difensivo e self-serving bias

Tornando al ragionamento difensivo di Argyvis, vediamo le quattro regole che tendenzialmente si seguono, ciò che crediamo di fare:

  • Tendiamo a mantenere il controllo.
  • Massimizziamo i guadagni e minimizziamo le perdite.
  • Sopprimiamo le emozioni negative.
  • Ci vantiamo di essere razionali.

Il self-serving bias [4] ci impedisce di apprendere, perché si riferisce alla tendenza a prenderci il merito dei nostri successi e ad attribuire ad altri – il prossimo, la società, la sfortuna – la responsabilità dei nostri fallimenti.
Dovremmo essere in grado di vedere le cose da più punti di vista, notare le sfumature. Ce lo dice anche Gianrico Carofiglio che nel suo libro “Passeggeri notturni” parla del self-serving bias mentre ne “La versione di Fenoglio” [5] parla del concetto di elementi divergenti: il maresciallo Fenoglio ne era ossessionato a tal punto da cercare, da prassi, tutti quegli indizi che potessero sbugiardare la sua teoria. Lo faceva per uscire dal suo bias.

Come migliorare l’autoconsapevolezza?

In conclusione della sua parte, Pierpaolo ci consiglia quattro strategie per migliorare l’autoconsapevolezza:

  • Fare esperimenti, simulazioni con il proprio team, con attività di team-building.
  • Avvalersi della consulenza di un coach, dato che spesso non riusciamo a riconoscere i vicoli ciechi in cui ci cacciamo.
  • Partecipare a laboratori di competenze interpersonali.
  • Scegliere sempre e comunque l’approccio ottimale per se stessi o per il team.

I bias più comuni all’interno di team Agili

Vito Abrusci approfondisce il tema dei bias cognitivi che, nella sua esperienza di coach Agile, ha notato all’interno dei team con il quale ha collaborato.

Una premessa Agile

Per chi come noi o Vito lavora seguendo la filosofia Agile sa (o dovrebbe sapere) che questo movimento è nato, tra gli altri principi espressi dal Manifesto Agile [6], per cercare di cambiare il modo di lavorare spostando il focus sulle persone. Perciò è fondamentale che ci sia chiarezza, trasparenza tra tutti gli attori coinvolti nel processo produttivo.
All’interno dei team però non tutto è aperto, ci sono molte cose non dette. Ritornando alla metafora dello specchietto retrovisore, è lì, pronta ad avvertirci su qualcosa che non riusciamo a vedere.

Che significa bias cognitivo

Il bias [7] non ha una definizione vera e propria, possiamo descriverlo come un modo di operare sulla base di pregiudizi, atteggiamenti. Dalla pagina Wikipedia

Il bias è un pattern sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nel giudizio. In psicologia indica una tendenza a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppata sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio.

Possiamo vederlo come un errore, una modalità, con cui il nostro cervello elabora l’informazione. Cercando di fare un paragone storico, l’uomo delle caverne scappava di fronte ai pericoli, non analizzava. Oggi vale lo stesso per i bias, in base a qualche pregiudizio o informazione, agiamo.

Vediamo ora qualche bias noto.

Bias dell’ancoraggio

Tra i più comuni, molto sfruttato nel mondo del marketing. Ci capita tutte quelle volte in cui ad esempio notiamo che un prodotto da 200 Euro viene abbassato a 120 Euro. Crediamo che stiamo risparmiando e lo vogliamo; o magari vale davvero 120 Euro.
All’interno di un team questo bias si manifesta ad esempio in fase di stima delle attività di un progetto, quando la prima persona che parla in merito poi influenza tutti gli altri. Per evitare questa situazione si potrebbe ricorrere ad esempio ad attività dove tutti scrivono contemporaneamente la loro stima e solo dopo si ragiona ad eventuali modifiche.
Oppure in fase di retrospettiva, dove ogni membro del team porta un aspetto positivo o negativo del periodo di lavoro appena concluso. Con un’attività di “silent writing” permettiamo a tutti di scrivere  nello stesso tempo e in una fase successiva si mostra quanto scritto per scegliere gli argomenti da discutere. Così evitiamo di influenzarci a vicenda.

Bias dell’ottimismo

Il bias tale per cui si ha la tendenza di vedere il futuro roseo.
Accade tutte quelle volte che, in fase iniziale di un progetto, il management guardando il budget a disposizione è fiducioso nel dire “OK, ce la faremo”. Per evitare ciò, anziché dare per scontato che il progetto X con quel budget Y si concluda, ragioniamo al peggio, consideriamo gli scenari peggiori.
Vito suggerisce la visione del talk di Tali Sharot “L’inclinazione all’ottimismo” presentato al TED 2012 [8].

Bias di disponibilità

Un altro potente bias, ogni volta che giudichiamo qualcosa sulla base delle ultime esperienze vissute.
Può capitare che, nel valutare la probabilità di soffrire di un attacco di cuore verso i 50 anni, pensiamo alle persone di nostra conoscenza a cui è capitato piuttosto che all’incidenza statistica sulla popolazione, magari sovrastimando il rischio. Questo perché gli eventi recenti, familiari o che ci hanno in qualche modo colpiti restano in evidenza nella nostra mente e hanno un peso maggiore nelle nostre decisioni.
Capite quindi come questo bias possa essere un problema, manca la valutazione oggettiva.
Come evitare la trappola quindi? Informandosi di più e mettendo in discussione le convinzioni comunemente accettate. Del resto approfondire la propria conoscenza è sempre un buon metodo per costruirsi una prospettiva migliore. Tornando al nostro lavoro in team Agili di sviluppo software, realizzare delle Personas [9] ci aiuta a definire l’utente sulla base di certe caratteristiche e su quello costruisco il mio prodotto. Oppure facciamo esperimenti e sulla base di essi poi correggiamo il tiro e andiamo avanti.

Bias di superiorità illusoria

Questo bias è più comunemente noto/associato all’effetto di Dunning-Kruger [10]. Dalla pagina Wikipedia:

L’effetto Dunning-Kruger è una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi esperti a torto, mentre al contrario persone davvero competenti hanno la tendenza a sottostimare la propria reale competenza. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti.

Questo bias si manifesta ad esempio tutte le volte che dobbiamo dare un feedback. Per evitarlo sarebbe opportuno cercare di considerare il dato oggettivo quindi non dire “Tu hai sbagliato” ma piuttosto “La feature su cui stiamo lavorando non è funzionale all’obiettivo”.
Meglio lavorare sul dato anziché sulla persona.

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