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Cervello ed emozioni: miti e realtà, controllo e valore

16 Febbraio 2021 - 7 minuti di lettura

In questo articolo vi parlerò di emozioni attraverso un resoconto di un webinar a cura di Buttonwood Coaching Partners.

Nella prima parte Pierpaolo Muzzolon ha dimostrato perché Volti, Cervelli e Corpi sono da considerarsi falsi miti attraverso un ragionamento, attorno al concetto di emozione, che prende spunto dal lavoro di Lisa Feldman Barrett.

Nella seconda parte Vito Abrusci spiega invece come le emozioni, e in particolare il controllo di esse, influiscano nella vita lavorativa di un team Agile.

Buona lettura.

I tre falsi miti: Volti, Cervelli, Corpi

Lisa Feldman Barrett, psicologa e neuroscienziata di fama internazionale, ha elaborato una teoria delle emozioni che manda letteralmente in soffitta l’idea per la quale le emozioni abbiano sede in specifiche zone del cervello e che siano espressioni universali (e in quanto tali univocamente decifrabili).

Abbiamo tre “falsi” miti da sfatare:

  • Volti
  • Cervelli
  • Corpi

Mito #1 – Le emozioni si manifestano sul volto e sappiamo riconoscerle

Osservate le seguenti due porzioni di volti:

Sapreste dire quali emozioni stanno provando? Ebbene, eccovi la “soluzione”:

Lo avreste mai detto? La maggior parte (compreso il sottoscritto) avrebbe pensato a rabbia per gli occhi del bambino e magari dolore o sofferenza per la seconda immagine. Questo perché nei volti, nella voce, nei gesti e nelle parole risiedono degli indizi che rivelano la menzogna, come tratta Paul Eckman nel suo libro “I volti della menzogna” [1].

Eccoci quindi alla Verità #1 Un volto non parla.
Prendete come esempio alcune foto di musicisti (violinisti, batteristi ecc.) intenti a suonare il loro strumento. Ognuno di loro esprime la stessa emozione ma con un’espressione facciale molto diversa. Decade anche lo stereotipo occidentale che vuole che una stessa emozione sia espressa in uno stesso modo in tutte le culture.

Riprendendo una frase di Lisa Fieldman Barrett nel suo libro “How Emotions are Made” [2]:

Le emozioni che crediamo di leggere negli altri sono in parte nella nostra testa.

Mito #2 – Nel cervello ci sono circuiti dedicati alle emozioni.

Meglio: Il cervello è il campo di battaglia tra ragione ed emozione. Falso!

Prendiamo in considerazione il nostro cervello: l’amigdala è la regione che funge da sentinella, il suo compito è costantemente prevedere come funzionano le cose. E come reagiamo ogni volta che abbiamo a che fare con qualcosa che non conosciamo?  Spesso mostrando paura. Ecco, l’amigdala è la sede della paura.

Pierpaolo ci ha mostrato dei dati relativi alla percentuale degli studi che riportano un aumento dell’attività dell’amigdala:

Che cosa ci dimostra questo grafico? La paura porta sì un aumento dell’attività dell’amigdala ma solo nel 30% dei casi. L’associazione paura – attività dell’amigdala quindi decade.

Anche la teoria del cervello trino di Maclean [4], che ancora esercita grande fascino su pubblicitari ed esperti di neuro marketing, non vale più.

Dopotutto è complicato descrivere il funzionamento del cervello, al più si può ricorrere a modelli come quello del “Sistema 1 e Sistema 2” pensato da Daniel Kahneman e descritto nel suo libro “Pensieri lenti e veloci” [5].

Verità #2 – Le Emozioni sono costruzioni complesse, non circuiti semplici. La ragione non governa le emozioni perché non risiedono in parti diverse del cervello.

Riprendendo ancora le parole di Lisa Fieldman Barrett nel suo libro già citato:

Le emozioni non sono incorporate. Vengono costruite.

Per facilitarci nella comprensione del concetto, Pierpaolo ha usato una bellissima metafora. Pensiamo a quando prepariamo una torta, mentre lo facciamo siamo felici, proviamo gioia. E’ una sensazione che proviamo ma con il tempo e con l’esperienza. Perciò:

Le emozioni che sembrano accaderci, siamo noi che le costruiamo.

I cambiamenti del corpo non hanno un inerente significato emozionale.

È il nostro cervello che attribuisce ai cambiamenti del corpo un significato emozionale.

Mito #3 – Il corpo è importante per le emozioni, ma non per il pensiero.

Riprendendo alcune frasi del libro “Principles of Neural Design” [6] di Peter Sterling:

Il compito principale di tutti i cervelli…è quello di regolare l’ambiente interno all’organismo…anticipando i bisogni e preparandosi a soddisfarli prima che si presentino.

Lisa Fieldman Barrett in un altro suo libro [3] parla di “body-budgeting” ovvero colloca in un quadrante tutte le emozioni che ci fanno oscillare tra aspetti (o come da lei definiti mood o affetti) diversi:

Non è vero quindi che il corpo è importante solo per le emozioni. Il corpo è parte della mente, la Verità #3.

Come tutto ciò (emozioni, esperienze) può influire nel lavoro di un team?

Il controllo delle emozioni

Ci sono mindset e abitudini che bloccano la capacità di un team di organizzarsi in modo autonomo e quindi di crescere insieme e produrre valore.

Il controllo è una di queste.

Di fatto con meno controllo, il team lavora meglio, di più e con meno sforzo.

Per questo motivo la “perdita il controllo”, che può spaventare molti (e nelle organizzazioni tanto di più), può essere una delle mosse più funzionali che un leader possa compiere.

Un team, affinché possa lavorare con meno controllo, ha una grande necessità di esplorare le proprie capacità e mettersi alla prova. Riprendendo Don Chisciotte della Mancia è proprio nella tempesta che un gruppo ha bisogno di qualcuno che dia visione per  “volare alto”.
Ci vuole anche concretezza per ottenere il risultato e per questo ci vuole un “Sancho Panza” ovvero una figura che riesca ad equilibrare e contenere la fantasia troppo sciolta del cavaliere riconducendolo alla realtà.

Nel mondo Agile accade né più né meno la stessa cosa. Ricordiamoci che Agile è un mindset che ci indica un modo di fare qualcosa, spetta poi a ciascun team decidere come farlo. Riprendendo la Verità #2 spiegata prima, in questo contesto un team è un costruttore di emozioni, costituito da persone che amalgamano tutto ciò che conoscono.

Prendiamo l’immagine seguente

Ognuno percorre un percorso che parte dai dati fino ad arrivare alla saggezza acquisita con l’esperienza. Le emozioni non sono delle reazioni, siamo attivi non passivi, dall’input sensoriale e dall’esperienza passata il cervello ricostruisce un significato. Solo quando abbiamo imparato a gestire questa conoscenza possiamo gestire gli insight, le intuizioni, e da queste la conoscenza, o wisdom.

Questo percorso non è semplice, e come Don Chisciotte tendiamo a sognare, esplorare meno di quanto dovremmo. Il sogno ci fa perdere la visione della realtà.

Come può un Agile Coach supportare il team ad “estrarre” valore?
Sperimentando, cogliendo spunti da chi ci circonda, e questo rappresenta una sfida se lo caliamo in un discorso di gestione delle emozioni.

Vito ricorre ad una gustosissima metafora per spiegarci come entrano in gioco le emozioni.
Sappiamo che esistono biscotti di mille gusti e dimensioni, da mangiare in momenti diversi: dal veloce spuntino al dessert di fine pasto.
Tornando al nostro team Agile, in base all’obiettivo che deve raggiungere (ciò che viene detto di fare) il team interpreterà diversamente e agirà di conseguenza. Converrete con me che avremo reazioni diverse in base alle richieste. “Preparatemi uno spuntino” suona molto diverso da “Preparatemi un dessert al limone”. L’importante è avere chiaro l’obiettivo e mantenere tutti il focus su di esso.

E il cervello in questo senso è la cucina dove tutti gli ingredienti vanno trattati e mescolati. Quando proviamo a replicare la ricetta di uno chef, sicuramente realizzeremo un piatto diverso perché avremo meno insight ed esperienza di uno chef.
Ancora una volta quindi, le emozioni non sono presenti in noi, bensì le costruiamo. C’è bisogno di imparare ad esplorare ed esplorarsi.

E tanto più esploriamo tanto più generiamo conoscenza che poi andrebbe condivisa, sempre con focus sull’obiettivo.
La richiesta di realizzare un dessert al team darà sicuramente modo al team di esplorare, capire e realizzare. Cosa che non accadrebbe qualora chiedesse di realizzare dei biscotti al limone. Per entrambi esiste la ricetta da seguire, ma nel secondo caso verrebbero per così dire tarpate le ali dell’esplorazione.

Dare obiettivi ampi è meglio, favorisce l’esplorazione.

Come si costruiscono gli insight?
Permettendo al team di fare esperienze, esplorare. Esperienze che portano ad emozioni, e il tutto arricchisce la realtà che ci circonda. E non bisogna avere paura di fare errori, perché un errore si può gestire e correggere, aprendo porte all’innovazione.

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