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Agile Viral Changes: un agente segreto in missione

10 Novembre 2021 - 8 minuti di lettura

In questo articolo vorrei condividervi una riflessione personale sul tema dell’Agile e in particolare della trasformazione Agile in un’azienda vista con gli occhi di un Product Manager.

Buona lettura.

La complessa strada verso l’Agile

Nei panni di un Project Manager volenteroso…

Sei un Project Manager che lavora da qualche tempo con un team di professionisti. Hai una mentalità Agile e, anche se la tua nuova azienda non conosceva questa filosofia, sei riuscito a trasferire alcuni dei suoi valori ai dirigenti i quali hanno iniziato a desiderare un clima migliore per l’azienda abbandonando il vecchio e tristissimo stile manageriale “zitto e lavora”.

A livello produttivo magari potrebbe andare meglio, ma tutto sommato il team non produce poco. Il problema più grosso è che non riesci ad entrare in sintonia con il team, non riesci a conoscerne i membri e noti che il clima aziendale ha ostacolato negli anni lo sviluppo di una buona comunicazione. E questo vale sia tra i “piani alti” e i team di sviluppo, che tra i membri stessi del team. Hai provato di tutto: metodologie e cerimonie, attività di coaching, hai cercato di promuovere un clima di trasparenza e collaborazione, ma nessuno si è aperto al dialogo. Senti una grande resistenza nel comunicare all’azienda, e a te stesso, quello che non va, o, peggio, una gran fatica a capire che c’è qualcosa che non va e cosa. Nel team c’è una fortissima competizione e difficilmente un membro chiede apertamente aiuto. Ognuno è blindato nel suo castello di conoscenza e “daily duties” e se le tiene strette. Questa è proprio bella, in genere devi lottare come un leone per poter convincere i dirigenti ad adottare una mentalità più agile, questa volta invece è successo tutto il contrario e a resistere sono i team di sviluppo!

La resistenza al cambiamento. Di chi è la colpa?

Ovviamente non è colpa del team in sé, semplicemente il clima aziendale ha scoraggiato sempre di più la comunicazione. Si è arrivati al punto in cui, anche se tu e la tua azienda siete volenterosi di cambiare le cose, sentite che il clima di scarsa comunicazione, fatto di cose non dette e brontolii soffusi e mai chiari, che state cercando di estirpare per favorire proprio i dipendenti stessi, ne è diventato parte integrante. È diventato un carro armato, resistente ad ogni input.
Nonostante tutti i tuoi sforzi, le persone in azienda hanno paura di essere trasparenti e non si aprono con te perché si ostinano a vederti come un “capo”, uno di quelli che, in caso, riporta tutto ai piani alti, che “fa la spia”.

Ti senti perso, perché proprio tu che hai spinto per questo cambiamento, continui a fallire nel realizzarlo dove conta davvero.

Non disperare!

Arriva l’agente segreto

Quello di cui hai bisogno è un agente segreto! Sì hai capito bene, un agente segreto.

Non guardarmi come se fossi pazzo, a breve sarà tutto più chiaro (spero): per questo tipo di situazioni ci viene incontro la psicologia della persuasione e la sociologia, nonché un pizzico di behavioral engineering, un parolone che non vuol dire altro che “l’arte del cambiare il comportamento delle persone e le dinamiche di interazione”.

Per prima cosa è evidente che non potrai mai aiutare il tuo team con sistemi classici di coaching o di metodologie. Sai benissimo che, affinché le metodologie agili siano davvero efficaci, devono essere approvate e condivise da tutti i membri del team. Metodologie che, soprattutto, devono essere testate empiricamente finché il clima di sperimentazione non smuova l’auto-emersione delle pratiche più utili al lavoro di squadra. Tutto questo non potrà mai succedere da solo, perché manca la caratteristica basilare che lo permetta: la fiducia. I dipendenti non hanno fiducia nel potersi davvero esprimere liberamente, né gli uni con gli altri, né come team verso l’azienda, per definire un problema e proporre migliorie. Non hanno fiducia verso di te, figuriamoci cosa farebbero (o non farebbero) quando gli viene proposto uno psicologo del lavoro o un Agile Coach: la sola etichetta li farebbe rabbrividire.

Se solo ci fosse qualcuno in grado di ottenere la loro fiducia così da riuscire a motivarli, qualcuno che possa cambiare le cose dall’interno e sbloccare questi ingranaggi arrugginiti! Il tuo compito è proprio di trovare quel qualcuno che, in linea con gli obiettivi dell’azienda, abbia delle competenze tecniche tali da potersi inserire nel team. Ma non solo, questa persona dovrà avere anche competenze sociali tali da poterlo allenare all’assertività e al lavoro di squadra, senza che ci sia quel brutto atteggiamento difensivo.

La metafora dell’azienda come una LAN: miglioriamo la comunicazione

Immagina una struttura di rete locale nella quale c’è un unico modem e poi dei ripetitori di segnale, a ogni layer di ripetizione ci sarà necessariamente una perdita di segnale.

Quando si parla di cambiamento di cultura aziendale è esattamente la stessa cosa, il CEO inizia un percorso di “conversione dell’azienda”, ma più l’azienda è grande e (soprattutto) stratificata, meno la sua filosofia e le sue comunicazioni saranno percepite dagli ultimi strati, specialmente se si trovano per varie ragioni in zone particolarmente isolate. In quest’ultimo caso, infatti, anche una modifica sostanziale alla struttura aziendale, per esempio rimuovendo il più possibile la stratificazione e accorciando del numero massimo possibile di step la “ladder” comunicativa, potrebbe ridurre la frizione. Ma se il team è isolato per volontà sua, sarà comunque difficilmente raggiungibile dall’esterno.

Per garantire una rete efficace c’è bisogno di regionalizzare le comunicazioni, ossia avere dei ripetitori che abbiano una linea diretta col modem (una LAN insomma). Potremmo pensare addirittura a dei modem aggiuntivi “regionali”, un po’ come succede con i server fisici nel cloud computing secondo la strategia architetturale utilizzata da AWS.

Chi è e che ruolo avrà il nostro agente segreto?

Il nostro “attore” farà proprio questo: dopo aver stabilito una connessione con i suoi client tramite l’ottenimento della loro fiducia (che per i più tecnici potrebbe essere visto come un handshake), la dimostrazione che il suo metodo di comunicazione funziona bene scongiurerà le presupposizioni del team e inizierà a dare l’esempio verso uno stile di lavoro più collaborativo e maggiormente assertivo e pronto alla sperimentazione. Tutto ciò lo porterà ad avere finalmente più fiducia anche negli strati aziendali che ha attorno e quindi ad avere meno resistenza verso di te, e soprattutto verso la sperimentazione per migliorare.

Ora immaginiamo che le macchine collegate al nostro sistema di comunicazione siano dei pc o degli smartphone e che possano fare hotspot, ossia da ripetitori a loro volta: questo è proprio quello che accade quando si parla di comunicazione e comportamento! Noi siamo delle macchine cognitive fatte apposta per comunicare, e i comportamenti, che sono una delle espressioni massime della comunicazione, sono estremamente contagiosi. Questo perché ci siamo evoluti per favorire una comunicazione e per vivere insieme, da animali super gregari quali siamo (basti pensare per esempio al concetto stesso di cultura, che altro non è che l’auto-emergenza e il mantenimento di una serie di atteggiamenti, credenze, schemi mentali, modi di fare che accomunano un gruppo di persone che hanno vissuto insieme per un determinato periodo).

Il nostro agente segreto sarà una persona con la mission di contagiare il suo team, e il suo ruolo di attore lo renderà immune al clima negativo che perpetua al suo interno. Il suo stoicismo nel mantenere comportamenti e strategie comunicative che riflettono il cambiamento che l’azienda desidera, piano piano costringerà il team a interagire con lui in questo modo, insegnando indirettamente la comunicazione assertiva, promuovendo l’emergenza di collaborazione e mentoring (per esempio chiedendo per primo aiuto). Quando un solo membro del team verrà contagiato e inizierà a ottemperare un comportamento positivo, allora inizierà il cambiamento vero e proprio, che sarà esponenziale.

Questa è la sostanza del Viral change comportamentale.

Viral change comportamentale è Agile

Questa strategia è estremamente in linea con le filosofie agili perché in realtà noi siamo molto di più che semplici ripetitori: immaginiamo il gioco del telefono senza fili, che dimostra come modifichiamo attivamente il messaggio e aggiungiamo/togliamo significato a esso sia durante la ricezione, sia durante la ripetizione. Una volta definiti i valori e obiettivi comuni, un cambiamento aziendale delocalizzato e bottom-up è quello che l’azienda dovrebbe perseguire, perché se il messaggio è positivo e guidato da un obiettivo comune, allora ogni nuovo ripetitore aggiungerà del suo alla nuova filosofia aziendale. Ciò renderà l’azienda migliore rendendola efficace anche a livello metodologico e strutturale, in modo che i singoli membri contribuiscano a cucire un identità addosso alla propria azienda e rendendola efficace ed efficiente in modo unico e su misura per quella che è. Non solo, favorirà anche il senso di appartenenza e di autoefficacia dei singoli dal lato personale, mentre stimolerà la sperimentazione e la plasticità organizzativa al cambiamento del mercato dal lato organizzativo e business.

Conclusioni

Agile è certamente una serie di valori che rispondono a numerosissime esigenze: dalla resilienza organizzativa, intesa come le strategie aziendali che le permettono di reagire positivamente ai cambiamenti, al massimizzare il rendimento e il valore prodotto per rendere felici i clienti, alla felicità dei product contributor stessi. Lo fa con un approccio empirico basato sull’auto-emersione di queste strategie e sulla loro sperimentazione. Tutto questo però richiede necessariamente che l’obiettivo aziendale sia chiaro a tutti e che tutti vogliano rendersi partecipi ed efficaci nel perseguirlo. Lo si può fare selezionando a priori le persone più adatte, oppure, come in questa storia, scatenando un cambiamento comportamentale in più persone possibile. Ci saranno sempre persone immuni al nuovo “manifesto” aziendale, purtroppo queste persone non potranno far parte dell’azienda. Quando un’azienda è veramente agile, lo è ciascun membro.

Cosa mi ha ispirato in questa riflessione?

La prima edizione di “Agile People Camp“, una “unconference” (per ulteriori approfondimenti sul significato del termine consiglio la lettura di questo paragrafo) di ben tre giorni organizzata da IAM. All’evento hanno partecipato 50 professionisti delle risorse umane, manager, Agile Coach, psicologi del lavoro, sociologi e counselor e chi lo sa, magari anche qualche agente segreto… Tutte persone accomunate dal voler imparare e accrescere le proprie competenze con l’obiettivo di discutere e definire un Agile-people-management che diventi la normalità.   

Bibliografia

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